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Intervista a Patrizia Saccà:





Ha gli occhi di chi la vita l’ha vissuta appieno e la volontà di chi combatte ogni giorno per gli altri “io combatto per i giovani che quotidianamente vedo nelle unità spinali”, mi ripete durante il corso di un dialogo appassionato e coinvolgente.


Patrizia Saccà, Campionessa paralimpica, antesignana di quel movimento nato in sordina anni fa e che ora è sulle pagine della quotidianità grazie al lavoro di chi vive con l’intento di lasciare un segno nella storia.


28 anni di carriera agonistica, centinaia di tornei internazionali, quattro mondiali , 12 europei, due paralimpiadi (Barcellona 92 con una medaglia di bronzo e Pechino con un quarto posto) , tutto vissuto con la velocità di una pallina di ping pong , lo sport che le ha permesso fin da subito di sentirsi parte integrata del mondo e ora creatrice di un nuovo metodo di yoga da eseguire da seduti , un saluto al sole innovativo, che si chiama: “ Yoga a raggi liberi”.





Aveva 13 anni quando la carrozzina è entrata nella sua vita: un gioco in terrazza, una caduta accidentale, un colpo alla schiena e la vita le ha donato un dono amaro da digerire , ancor più amaro quando la leggerezza della prima adolescenza non si è ancora fatta sentire.

La spensieratezza e la gioia di una ragazzina hanno lasciato il posto alla consapevolezza che avrebbe cavalcato la sedia a rotelle come un tempo cavalcava il suo amato cavallo, come ripete sorridendo con quel sorriso trascinante che mi ipnotizza nell’ascolto.


Sono dispiaciuta e perplessa Katia, e anche un pó triste.


Le domando perché e lei mi dice Per il film A Muso Duro che racconta l’ esperienza del Prof. Maglio interpretato magistralmente da Flavio Insinna. Il film racconta la storia di questo medico che ho conosciuto personalmente e che riabilitò con tecniche mediche innovative.

Tolse ad esempio molti di noi dalla sofferenza di essere chiusi in gabbie di gesso, sofferenza che conosco personalmente perché l’ho provata in prima persona dopo il mio incidente. Fu lui a togliermi il gesso. Aiutò tutti noi anche dalla dipendenza farmacologica e psichica della morfina , aprendo nuovi orizzonti riabilitavi e di socializzazione attraverso lo sport, permettendoci di padroneggiare il nostro nuovo corpo.






Antonio Maglio tentò, in una Italia contadina del dopoguerra, di riscattare la condizione di vergogna per molte persone paraplegiche e tetraplegiche donando a loro un riscatto attraverso lo sport. Emarginati, derisi, evitati, scoprirono che con lo sport la loro vita avrebbe potuto cambiare. Dal suo operato poi, con l’andare del tempo, il movimento sportivo delle persone disabili ha preso sempre di più forma e sostanza fino a diventare ciò che è ora.


Lo so Patrizia, è imperdonabile da parte mia ma non sono riuscita a vederlo. Si, avrei voluto farlo ma , giuro, sono crollata sul divano come fanno i vecchi a una certa età e a mia discolpa posso dirti che il giorno dopo avevo un treno per Roma all’alba per cui non ce l’ho fatta. Cosa è successo? Ne ho sentito parlare da tutti in maniera entusiasta


Lei, con quel guizzo negli occhi che sa di brio ha riso splendida davanti a me dicendo e fra tutti quelli che ti hanno detto che erano entusiasti quanti di loro erano paraplegici?


Oddio amica mia, aspetta un attimo”, penso fra me e me stessa mentre mentalmente focalizzo l’attenzione sulle persone in questione fino ad elaborare l’unica risposta che dà un senso a tutto il discorso di Patrizia “ Nessuna” , le rispondo .


Ecco, nessuna, ne ero certa.





Raccontami”, le dico, e lei parte come un fiume in piena.


Lei a me ricorda il Reno, un fiume splendido e pacifico che si gonfia in alcuni punti fino a creare una potenza unica quando è in piena.


Io vissi quei luoghi in prima persona e conobbi personalmente Maglio. Conobbi i tecnici come Vernole, vidi e vedo ogni giorno con i miei occhi l’immenso beneficio che lo sport crea in ognuno di noi e con il trascorrere degli anni il cambiare della nostra società: da emarginati siamo diventati parte del mondo e non un mondo a parte come dice il nostro slogan!


Sono molto dispiaciuta perché nei titoli di coda non ho letto i nomi dei Tecnici federali che hanno costruito le basi per la nascita delle paralimpiadi di Roma 1960 e quando ho visto alla fine del film i nostri Atleti amputati avrei sperato di potere vedere anche qualche immagine di una ogni disabilità magari con una sfilata di ingresso alle varie Paralimpiadi con atleti ciechi, paraplegici, poliomielitici, spina bifida amputati, ecc e cc.


Invece hanno messo solo le immagini di campioni attuali di prestigio ma appartenenti tutti ad unica categoria, come se l’ unica disabilità esistente fosse l’ amputazione quando tutto è partito da un centro di riabilitazione per mielolesi che purtroppo non hanno trovato rappresentazione nelle scene finali dal momento che hanno fatto la storia delle paralimpiadi . Io che ho vissuto quei luoghi e ho vissuto l’evolversi del movimento paralimpico fin dalla sua origine sento come se fossero stati dimenticate le varie disabilità esistenti e fosse reso omaggio solo a una disabilità, a discapito delle altre. Perché?


Resto in silenzio in questa strana chiaccherata che sembra quasi un’ interrogazione verso il mondo fatta da una donna che vive le proprie passioni in maniera piena, coinvolgete e trascinante


Io lotto non per me stessa ma per chi ogni giorno vedo nelle unità spinali. Ragazzi che arrivano dopo traumi e incidenti e che da lì iniziano un nuovo percorso verso una rinascita.

Hai mai parlato con qualcuno che conosce i reali problemi delle unità spinali? Delle difficoltà che ci sono ogni giorno ? Della volontà di chiuderle ? Perché nessuno pone attenzione sul grandissimo lavoro che viene svolto nelle unità spinali e alla fine di un film che narra di un luogo così si mettono immagini che non raccontano la vera evoluzione?


Mentre lei parla io penso alla superficialità di chi come me questi problemi non li ha mai avuti. Noi improvvisiamo , viviamo con superficialità, senza prestare attenzione, considerando che tanto non è così difficile fare tutto.


Viviamo con l’arroganza di chi pensa che salire una scala a chiocciola sia facile o che trascinare una valigia su e già per delle scale non sia poi cosi complicato. Io borbotto ogni volta che non funziona un ascensore ma imbocco le scale brontolando e arrivo dove devo arrivare. Lei no, lei non può.


È davvero così credimi Katia. Anche io prima che capitasse a me vedevo solo la carrozzina ignorando tutte le difficoltà quotidiane che si nascondono dietro ad una paraplegia :vescica e alvo neurologico, contrazioni, mancata sensibilità, piaghe, termoregolazione sballata, problemi pressori ecc


Mentre parla penso “avevi 13 anni… cucciolo… a 13 anni non si è ancora elaborato il concetto di vita, figurati se uno a tredici anni pensa a una sedia a rotelle”, ma resto in silenzio.

Sono inadeguata a qualsiasi tipo di commento al riguardo.

Ci vuole coraggio per dir la verità , la storia deve essere rispettata se c’è stato un buon IERI ci sarà un fantastico OGGI!


Resto in silenzio pensando che il cervello umano è quanto di più complicato Dio abbia mai creato, i nostri occhi vedono immagini che il nostro cervello elabora a seconda di mille fattori differenti: esperienza, traumi, passioni, amori, pregiudizi, dolori, malattie.


Nessuno delle persone con cui parlato ha notato questo aspetto che ha invece ferito questa leonessa dagli occhi luminosi e brillanti.


Guardo Patrizia piena di forza mentre mi racconta tutto questo , ferita da una mancanza di attenzione per ciò che sono le persone paraplegiche.


Ti posso citare tantissimi campioni paralimpici eccezionali. Perché non hanno usato loro come testimonial ma hanno usato degli atleti amputati?





Da Maglio è partito un movimento che vede ora sul timone della nave come capitano un uomo di sport: Luca Pancalli. Il movimento è composto da disabili fisici, psichici, intellettivi, sensoriali. Un mondo immenso non fuori dal mondo ma parte del mondo e se una di loro che ha visto nascere tutto questo fin dall’inizio mi guarda negli occhi e mi dice “sono triste”, forse qualcosa in termini di maggiore attenzione avrebbe potuto essere fatta.


Intervista a cura di Katia Arrighi



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